venerdì 16 novembre 2007

Quel che non so


Conosco quel prato con le mimose.
Quel cielo mobile e freddo. Nuvole grosse vento pioggia e freddo. E poi il cielo sereno e il sole caldo.
Conosco i ciuffi di mimosa agitati dal vento e il loro profumo rosa femminile virginale sparpagliato intorno. Odore di giovanetta. Di innocenza e ignoranza. Di interezza non ancora perduta.
Conosco quelle ore fresche passate a passeggiare il cane. Quell'inquieta finestra. Le foglie di limone mosse dal vento. Le macchie di sole scomposte su vetri e pavimento.

Vita mia. Vergine perduta. Volto fratturato. Velo rotto. Cerca. Cerca. Cerca.

Conosco quell'aria aperta.
Quel faticare ogni giorno per raggiungere la sera.
Quel soffrire, quel passare sotto porte basse e strette.
Conosco quella tavola rotonda con la tovaglia di plastica dove passano cose buone cucinate fuori dal frigo. Buon cibo vivo fatto in fretta. Il pane scaldato nella padella e la verdura cotta con la mozzarella.
Conosco la stanza col pavimento di piastrelle marroni. Il letto verde con la coperta di pizzo. Lo specchio enorme tutto velato di grigio.

Conosco il buio di San Luigi dei Francesi.
Conosco la navata piccola con le cappelle laterali.
Conosco quella cappella laggiù. Rivelazione.
Giù. Nell'angolo in fondo. C'è la rivelazione.
Ah, che cosa dire. Cazzo.
Non ci provare nemmeno.

sabato 10 novembre 2007

Perché scrivere: su Letteratitudine il dibattito continua

Vi riporto qui i due interventi che ho postato sul sito di Massimi Maugeri Letteratitudine, a margine dell’intervento dello scrittore Ferdinando Camon “Perché scrivere”. Ringrazio i due promotori del dibattito, e tutti coloro che, intervenendo, hanno sollevato nodi e interrogativi cruciali: per me è stata una feconda occasione di meditazione su un tema che mi sta profondamente a cuore.
"E' tutto il giorno che rifletto sulle considerazioni messe in campo da Camon e da chi è intervenuto su questo sito. E che mi chiedo se ha senso, per quanto mi riguarda, parlare di scrittura. Il fatto è che per me scrivere non è un fatto mentale. O forse è meglio dire che non voglio, non voglio che diventi un fatto mentale. La verità è un proteo, ha forma inaspettata e sfuggente, e non si trova mai dove la stai cercando. Ci arrivi per percorsi laterali, evitando di fissare le cose direttamente, lanciando brevi pudichi timorosi sguardi in tralice. Non la troverai sfondando porte o sezionando, perché nell’opera di ricerca l’avrai distrutta, calpestata senza nemmeno accorgertene. E il processo creativo è qualcosa di così delicato e fragile, che non sempre sopravvive al bisturi e al microscopio.
Eppure conosco la rigorosa implacabile sincerità di Camon. La sua estrema nuda fedeltà a se stesso. E sento di riconoscermi interamente in questa affermazione: “La responsabilità sta nello scrivere per come si è. Rispondere della propria scrittura vuol dire rispondere di come si è. Nel mostrare come si è. Nel consegnare quello che sai, quello che sei.” E dunque prendo coraggio e provo a parlare di scrittura.
La mia sensazione, scrivendo, è quella di portare una grande responsabilità. Ma non è certo una responsabilità girata verso l’esterno.
Cerco di spiegarmi meglio. Quando scrivo spesso so che cosa voglio fare. Ho in mente il risultato che vorrei ottenere. E quindi rischio di usare parole scontate. Parole mentali. Cliché. (Scrittura da best seller, per dirla con le parole di Camon).
Quel che mi salva è che in effetti io non so come riuscire a raggiungere il risultato che ho in mente. So che quel che ho in mente non si può raggiungere attraverso processi razionali. Tutto quello che so è che per riuscirci l’unico modo è una totale fedeltà.A chi? A che cosa?
Non al lettore. Mi perdoni chi legge. Se volessi esser fedele al lettore, probabilmente comprerei un manuale per scrivere best seller.
Ma neanche a una chimerica verità oggettiva. Così astratta e rarefatta da appartenere al mondo delle idee platoniche.
No. Si tratta di fedeltà a me stessa. Tutto quel che ho in mano è il tentativo, costante, di essere onesta. Onesta con me stessa, voglio dire. Posso cercare di raccontare le cose proprio così come le percepisco. Posso cercare di togliere veli invece di aggiungerne. Posso cercare di andare oltre la pelle. Esser sincera in modo feroce, fino alle ossa, fino alle budella. Esser fedele alla carne.
Ecco. Non ho altro modo.
E se qualcosa accade, accade così. Oppure non accade.
La mia responsabilità termina qui. Se qualcuno leggerà quello che è scritto, si assumerà le sue responsabilità. Ci metterà quello che è suo. Ma a quel punto, la responsabilità non è più mia. La mia parte l’ho fatta. Il resto è del lettore.
Chiedo scusa se non ho chiosato il testo di Camon. Ma sento che parlare di scrittura per me funziona solo in questi termini. Partendo da quel che la scrittura E’, per me. Partendo dalla concretezza. Dalla carne. Per il resto sono molto felice di ascoltare.
Grazie.
Fiorenza Aste
Postato Martedì, 6 Novembre 2007 alle 11:25 pm da
Fiorenza Aste

“Chiedo scusa per i tempi lunghi, ma sono lenta. Ho bisogno di passarmi le cose dentro più volte, per sentire che sapore hanno per davvero. Se do una risposta immediata, sono quasi certa di dire le cose solo con la pelle. Solo con la mente. Ho bisogno, passatemi il termine, di “respirarci sopra” per un po’, in modo da dar loro il tempo di arrivare a una buona profondità. Questo perché nel procedere mi fido poco del pensiero razionale. Quando rispondo con la ragione ho spesso la sensazione di operare semplificazioni. Di sezionare l’intero in pezzetti. Oppure viceversa, di categorizzare e generalizzare.
E invece vorrei rispondere sinceramente. E questo per me significa partire dalla mia concretezza. Dall’orizzonte della mia esperienza pratica. Dal mio essere nel mondo.
Della scrittura ho già detto. Scrivere è essere. E’ un’incarnazione dell’essere. Uno dei modi che il mio essere nel mondo manifesta. (Disperato? Sì, certo. Anche. Ma non necessariamente. Anche esultante).
Non penso di poter dire molto altro.
Ma qualcosa posso dire sul leggere.
E, ancora, parto dalla mia pratica di lettrice. Non riesco a fare generalizzazioni. Non riesco neppure a stabilire se possono esserci dei criteri secondo cui decidere se un testo è buono oppure no. O parametri per decidere l’eticità o meno di un testo. Credo che la cosa non mi interessi.
Cerco l’essere umano. E lo cerco dovunque riesco a trovarlo. Negli incontri di ogni giorno a casa e a scuola, così come fra le pagine dei libri. E ogni volta che lo incontro, esulto.
Non c’è spettacolo più affascinante e commovente di un essere umano in movimento. Il suo esistere, il suo respiro, la sua fatica, il suo dolore. Le sue illuminazioni e le sue cocciute non visioni. Il suo svelarsi e il suo spaventato nascondersi.
Che altro.
Quando lo incontro in un libro, lo riconosco.
Che sia il Decamerone o la Commedia o una tragedia di Shakespeare o Moby Dick o un fumetto o un libro di Carver o di Simenon, o l’elenco del telefono, se lo incontro lo riconosco. E non lo faccio in modo consapevole, o seguendo dei criteri. E’ che mi si mostra. E’ lì. E vederlo e riconoscerlo è tutt’uno.
Non conosco altro criterio di ricerca.
E poi è vero, è buono quando uno scrittore non si sovrappone al testo. E’ buono il suo sparire e lasciare che siano le parole scritte a parlare. Perché è l’interazione fra lettore e testo scritto che genera frutti, e ogni intervento (razionale…) di chi ha scritto rischia di compromettere il raccolto.
Ma è anche vero che quando incontro lo scrittore, fra le sue pagine, mi commuovo. E incomincio a cercarlo. A seguirlo. Di personaggio in personaggio. Di libro in libro. Lo vedo muoversi dietro le infinite maschere che ha scelto per mostrarsi a noi, e ancora una volta, è uno spettacolo emozionante. Commovente.
L’essere umano, ancora una volta.
Che altro.
Buona serata a tutti.
Postato Giovedì, 8 Novembre 2007 alle 7:20 pm da
Fiorenza Aste

martedì 6 novembre 2007

Perché scrivere: intervento di Ferdinando Camon su Letteratitudine

Segnalo un interessante dibattito che sta avendo luogo sul sito di Massimo Maugeri Letteratitudine, innescato da questo articolo di Ferdinando Camon sul perché e i modi dello scrivere. Mi sembra una feconda occasione di riflessione e di intervento per chiunque cerchi di praticare la scrittura. E credo che sarebbe importante sentire, a riguardo, anche la voce di chi legge. Camon ha gettato più di un sasso nello stagno: parla di etica e fedeltà, di menzogna, di best seller e di molto altro ancora. Vi invito a leggere e intervenire!

domenica 4 novembre 2007

Le parole

Lasciar venire le parole.
Lasciarle nascere. Partorirle come uova bianche, aspettare che si schiudano per scoprirne il sorprendente contenuto. Lasciare che vengano, senza porre ostacoli. Stupefarsi per come risuonano. Meravigliarsi per come si accoppiano. Ammirare le ghirlande che formano, impaurirsi per la morte che mostrano. Sentirle nel corpo prima che nella mente. Farle nascere dalla carne e non dalla ragione.
Non pensarle. Lasciarle venire.
Che siano parte del tutto.
Scintille della grande luce. Pasta di vita e morte e trasformazione. Feconde e sacre.
Sacre.
Ecco, sì. Sacre.

Non guidarle. Esserne guidati.
Tu non possiedi le parole. Sono le parole a possedere te. A voler uscire, a volersi legare in forme a te nuove e sconosciute. Tu sei il canale attraverso cui schizzano nel mondo. Il loro mezzo.
Non sono loro il mezzo. Tu sei il mezzo.
Affidati.
Fatti cedevole e pieghevole.
Sgombra. Aperta. Ricettiva.
Regalati senza compenso.
E le parole verranno.