Libro intrigante, scritto con lo stile sicuro e personale di chi ha grande consuetudine con la lettura, prima ancora che con la scrittura, questo romanzo fa emergere alla luce un autore interessante, che promette di tornare a breve sugli scaffali delle librerie. Uscirà infatti fra qualche mese un suo nuovo libro, "Sayonara da un'ora", questa volta per i tipi dell'editore Giraldi.
L’impotenza piccola e disperata dell’infante.
Questo ho pensato, chiudendo l’ultima pagina del libro di Loris Zecchini.
Cosa mi resta dietro il velo rosso delle palpebre dopo che l’ultima riga è scorsa via, mi sono chiesta.
Questa sensazione algida di raggelata sospensione. E insieme, questo senso di nitida chiarezza.
Perché questo è, la scrittura di Zecchini. Un raggio laser. Che disegna i contorni di eventi e oggetti con bagliore limpido, nitido, perfetto. Mettendoti davanti, senza scampo, il loro terso, desolante squallore.
Opera prima di un autore schivo e riservato, poco affine ai meccanismi di compravendita che governano il mercato dell’editoria, “Yoko ono sono io” ci mette all’occhio il foro del caleidoscopio. Ci mostra la girandola di allucinazioni pensieri emozioni odii rancori dolori lacerazioni abbandoni che roteano luccicanti come scaglie dentro il corpo di Mia e Nadir, fratelli ricongiunti dalla morte della madre. E lascia che siamo noi a cercare di condurre un filo, per dir così, logico, che leghi gli atti che si svolgono sotto i nostri occhi.
Niente ci viene raccontato. I fatti ci si parano davanti attraverso il filtro ora degli occhi dell’una, ora dell’altro. E piano piano impariamo a riconoscere il timbro della voce interiore di ciascuno dei due fratelli, più nitido e lucente quello di Mia, più lutulento e avviluppato quello di Nadir.Quel che ci si mostra, in realtà, è l’agglutinarsi progressivo che subisce il loro destino. “Certe cose del passato ti restano dentro come un drago.” Intrappolati in una gabbia fatta di tempo andato, ricordi e rancori, i due fratelli sembrano prodursi nella dimostrazione pratica di un processo di entropia. Mano a mano che procedono le ore, e che si accresce l’ampiezza del moto oscillatorio percorso dalle emozioni, parallelamente aumenta il caos e la disarticolazione degli spostamenti che i due compiono nello spazio, fino a giungere a un vagolare totalmente infantile e impotente...
Questo ho pensato, chiudendo l’ultima pagina del libro di Loris Zecchini.
Cosa mi resta dietro il velo rosso delle palpebre dopo che l’ultima riga è scorsa via, mi sono chiesta.
Questa sensazione algida di raggelata sospensione. E insieme, questo senso di nitida chiarezza.
Perché questo è, la scrittura di Zecchini. Un raggio laser. Che disegna i contorni di eventi e oggetti con bagliore limpido, nitido, perfetto. Mettendoti davanti, senza scampo, il loro terso, desolante squallore.
Opera prima di un autore schivo e riservato, poco affine ai meccanismi di compravendita che governano il mercato dell’editoria, “Yoko ono sono io” ci mette all’occhio il foro del caleidoscopio. Ci mostra la girandola di allucinazioni pensieri emozioni odii rancori dolori lacerazioni abbandoni che roteano luccicanti come scaglie dentro il corpo di Mia e Nadir, fratelli ricongiunti dalla morte della madre. E lascia che siamo noi a cercare di condurre un filo, per dir così, logico, che leghi gli atti che si svolgono sotto i nostri occhi.
Niente ci viene raccontato. I fatti ci si parano davanti attraverso il filtro ora degli occhi dell’una, ora dell’altro. E piano piano impariamo a riconoscere il timbro della voce interiore di ciascuno dei due fratelli, più nitido e lucente quello di Mia, più lutulento e avviluppato quello di Nadir.Quel che ci si mostra, in realtà, è l’agglutinarsi progressivo che subisce il loro destino. “Certe cose del passato ti restano dentro come un drago.” Intrappolati in una gabbia fatta di tempo andato, ricordi e rancori, i due fratelli sembrano prodursi nella dimostrazione pratica di un processo di entropia. Mano a mano che procedono le ore, e che si accresce l’ampiezza del moto oscillatorio percorso dalle emozioni, parallelamente aumenta il caos e la disarticolazione degli spostamenti che i due compiono nello spazio, fino a giungere a un vagolare totalmente infantile e impotente...
Chi ha voglia di leggere l'articolo per intero lo troverà qui.
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