venerdì 28 settembre 2007

Ciao, Francis. Intervista immaginaria a Francis Bacon





Ciao Francis. Devo chiamarti Maestro?

Vaffanculo. Non sfottere.

No. Davvero. Non è per sfottere. La gente usa chiamare Maestro quelli come te. E’ un riconoscimento alla bravura. Al genio. All’eccellenza.

Quale bravura. Quale genio. Vaffanculo.

O.K. Va bene. Ricominciamo da capo. Ciao Francis. Come va adesso che ti sei liberato del corpo? Ti senti sollevato, tu che del corpo avevi fatto un’ossessione?

Un’ossessione? Che cosa vuol dire? Non c’è nient’altro al di fuori del corpo. Io ho solo cercato di essere sincero. Ho cercato di restituire onestamente la verità. La carne il flusso del sangue il contrarsi delle budella le vene il cavo dei denti il rosso carminio delle gengive. La verità. Tutto qui.

La verità. Ma che cos’è la verità? Se dici così, sembra che ce ne sia una sola. Vuoi dire che la sola verità possibile sta in quei corpi contorti che esplodono e si rivoltano fuori di se stessi in una fuga a precipizio fuori da ogni orifizio?

Io non sto dicendo niente. Sei tu che dici. Sei tu che giochi con le parole e te le lasci sbrodolare giù per il mento come la pappa di un neonato. Hai bisogno di un bavaglino, per caso?

Ma se queste non sono le parole giuste, allora io non so come parlare di tutto… tutto questo. Come si fa a parlarne? Quali sono le parole giuste?

Di queste cose non si può parlare. Ogni tentativo di parlarne smuove solo aria viziata. Queste cose si fanno.

Queste cose si fanno. O.K. Allora diciamo che questo va bene per te, che queste “cose” sei in grado di farle. Ma quello che sta dall’altra parte? Il tizio che sta lì e guarda quello che tu hai fatto? Che margine di azione gli resta?

Ah, affari suoi. La cosa non mi riguarda. Io quel che dovevo fare l’ho fatto. Quel che fa questo “tizio”, come lo chiami tu, non mi riguarda minimamente.

Vuoi dire che non hai in mente nessun pubblico quando dipingi?

Io ho in mente solo la verità. Come rendere più vero quello che sento. Tutto qui. Se poi tu hai voglia di appenderci un’etichetta, a quello che io ho fatto, sono affari tuoi. L’etichetta è tua, non mia.

Allora parliamo di verità, visto che l’hai nominata diverse volte. Quanta verità c’è in un’immagine giornalistica? Il fatto che l’immagine sia stata scattata proprio là dove i fatti avvengono, senza mediazioni, la rende più vera?

Oh, questa è una buona domanda. Finalmente. Qualcosa che non cerca di appiccicarmi addosso una qualche definizione. Be’, guarda. Io credo di no. Credo che non necessariamente un’immagine sia più vera perché è scattata in presa diretta proprio dove avviene il fatto. Credo che il solo fatto di fermare il divenire degli eventi, di farne qualcosa di ripetibile, analizzabile, e poi un’icona, se necessario, trasforma il fatto in quello che non è. Anzi, spesso proprio l’apparenza di verità che hanno queste immagini nasconde irrimediabilmente la verità. Pensa a quel filmato… quello del ragazzo israeliano picchiato e tirato giù da un’automobile, sai, quel ragazzo che non ha reagito anche se aveva il fucile e poteva far fuori tutti i suoi assalitori. Be’, quel pezzetto di vita di un individuo qualsiasi in mezzo a altri sei miliardi è stato visto e rivisto, passato al telegiornale decine di volte, ogni gesto del ragazzo analizzato e giudicato, condannato senza appello da alcuni perché non aveva reagito come avrebbe dovuto, esaltato da altri per lo stesso motivo. E intanto, analizza e analizza, che fine ha fatto la verità in questo caso?

Mah… Non saprei. Che fine ha fatto?

La verità stava dentro il flusso di sangue frenetico che schizzava per le vene di quell’individuo. Dentro gli schizzi di adrenalina che gli drogavano il sangue. Dentro la pompa del cuore che si contraeva disperatamente. Dentro la sua carne mortale che piangeva la propria morte. Proprio lì dentro. Che cosa è rimasto di tutto questo dentro quel filmato? Poco. Probabilmente niente. C’è solo quel tanto che basta per concedere a chi guarda seduto in poltrona di giudicare. Troppo poco.

Ma allora, come si fa a restituire la verità?

Bisogna andare oltre la pelle. Essere sinceri fino alle ossa, fino alle budella. Lacerare veli. Essere fedeli alla carne.

Fedeli alla carne?

Sì. La carne mi ha sempre ossessionato. Quel colore sontuoso rosso sangue. Quelle screziature di giallo, le pieghe setose delle mucose. Il bianco dei denti. E’ disperatamente bello e caro.

E’ per questo che dipingi? Per dare corpo a questa ossessione?

Guarda, io non credo di essere un pittore. Probabilmente se avessi avuto orecchio avrei scritto musica. Ma io non sono uno musicale. Oppure magari avrei scritto poesie, se avessi avuto familiarità con la metrica, che ne so. E’ solo che sono disperatamente ricettivo. E dipingere, a un certo punto, è diventato il mio modo per restituire quello che ricevevo.

Non è un eccesso di modestia questo?

Non dire cazzate. E’ semplicemente sincerità. Io cerco sempre di essere sincero, il più sincero possibile. Ovviamente non sempre ci riesco. Però diciamo che ci provo.

E’ per questo che le tue opere sono così… disturbanti. Perché sono spaventosamente sincere. E’ come se tu cercassi in ogni modo… come posso dire. Di evitare il fascino, ecco.

E’ così. Il fascino è un velo che nasconde la brutalità del fatto. Io non voglio alleggerire, o abbellire. Io voglio solo dire le cose così come stanno. Nel modo più sincero e fedele possibile. Ovviamente in pittura questo significa essere fedeli alla carne più che alla pelle. Non mostrare ciò che appare, ma ciò che è. Anche a costo di una distorsione radicale dell’immagine. Ma deve trattarsi di una distorsione fedele. Più fedele di una copia fedele.

E’ per questo che ti sei arrabbiato quando ti ho chiamato Maestro? Per via di questa storia del fascino, voglio dire?

E’ per questo. Essere ricchi è comodo, per certi versi. Uno si può permettere delle cose piacevoli senza pensarci su troppo. Però essere famosi è una trappola. Si deve passare il proprio tempo a distruggere i veli che gli altri cercano di buttarti addosso. E’ faticoso.

Una volta ti sei definito intellettualmente pessimista, ma ottimista nel sistema nervoso. Che cosa volevi dire esattamente?

Niente. Solo quello che ho detto. Che le mie mani, il pennello, i colori sulla tela sono collegati con la mia parte ottimista, perché io cerco di dipingere direttamente con il sistema nervoso.

Vuoi dire che definiresti la tua pittura… una pittura ottimista?

Certamente.

Ma c’è chi la definisce… atroce.

Be’, sì. Può darsi. Ma si tratta comunque di un’atroce gioia. O forse, meglio, un’atroce gioiosa pietà.

C’è qualcosa in particolare che vuoi dire, per concludere questa intervista?

No. Mi hai già fatto parlare anche troppo. Pensavo che da queste parti non ci fossero pennivendoli parolai in circolazione. Ma vedo che d’ora in poi dovrò stare più attento a dare confidenza a chi incontro.

Ciao, Francis. Grazie, e buona fortuna.


Bibliografia su Francis Bacon

"Interviste a Francis Bacon", David Sylvester, ed. Skira
"Francis Bacon. La logica della sensazione", Gilles Deleuze, ed. Quodlibet
"Figurabile. Francis Bacon", a cura di Achille Bonito Oliva, ed. Electa

Francis Bacon sul web

http://it.wikipedia.org/wiki/Francis_Bacon_(pittore)
http://www.engramma.it/engramma_v4/rivista/galleria/38/galleria_bacon.htm
http://www.francis-bacon.com/
http://www.artsversus.com/francisbacon/


1 commento:

Anonimo ha detto...

Intervista immaginaria molto incisiva. Ironica e intensa.

^ _ ^

Sul discorso dell'anoressia e più in generale i disturbi alimentari è un percorso lungo e difficile che ho iniziato da un pò. C'è stato un post su Letteratitudine (nato da un racconto lungo che ho scritto ormai un anno fa e pubblicato su un'antologia)che ha scatenato i primi ragionamenti, ha mostrato punti di vista diversi nei commenti:

http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/08/09/click-jeans-di-barbara-gozzi/#comments

In questo periodo ho ripreso a studiarli con una certa frequenza, mi piacerebbe farne uscire qualcosa di 'buono' o almeno costruttivo, sarebbe bello generare un dialogo, un confronto onesto e aperto. O scatenare riflessioni fuori dalla retorica e più vicina ai cuori che sanguinano. Mi piacerebbe trovare il modo di rendere 'giustizia' a queste malattie spesse bistrattate, demonizzate oppure trattate con leggerezza e poca coerenza. Mi piacerebbe si anche attraverso la narrativa che ha comunque la forza di arrivare a tutti senza i tecnicismi eccessivi. Chissà, vedremo. Intanto studio, ascolto, osservo.

Un abbraccio,
Buona domenica e scusa se mi sono dilungata.

Barbara
www.progettobutterfly.splinder.com