venerdì 4 gennaio 2008



Così, è, oggi.
Bianco. Silenzioso. Luminoso.
Cade qualche fiocco ogni tanto. Ma pochi. Piccoli.
Non ha nevicato molto stanotte. Solo un po’.

Non è stata una buona notte, questa. Notte inquieta. Sogni. Risveglio.
Esco a camminare. Salgo per la strada che costeggia la mia casa, in salita. Vado su, verso la montagna. Verso il bosco.
La neve crocchia sotto le suole grosse degli scarponi, sulla curva. Ma fa caldo. La neve incomincia a colare. La sento scorrere come acqua dentro i tombini. Si assottiglia, per terra. In certi punti è già translucida, ci vedo l’asfalto attraverso.

Cosa cerco.
So che cerco qualcosa, su per questa strada.
L’ho fatta molte volte. Per tanti anni.
So che qui ho trovato. E siccome qui ho trovato, ci torno per trovare ancora.
Come se quello che cerco si potesse trovare in un punto preciso.

Cercavo la neve, anche. Volevo la neve bianca intatta che crocchia sotto i piedi, senza orme e senza macchia.
E non c’è. C’è questa neve sporca, già vecchia. Già macerata dalle ruote delle macchine, già passata.
C’è uno slargo, alla mia destra. L’entrata di una casa. C’è una chiazza di neve bianca qui, nuova, senza orme. Ci entro, avida, come si entra con la penna dentro una pagina bianca.

La mente.
La mente al lavoro che cerca metafore e lotta per avere il sopravvento sulle cose.
Voglio, non voglio. Mi piace, non mi piace.
So che non sto guardando per davvero.
So che non vedo. Non ancora.
Quel che vedo è quel che la mia mente vuol vedere. E se non lo vede è delusa e si ritira.
Piccola mente bambina capricciosa.
Cieca.

Esco dalla mia chiazza bianca. Ricomincio a camminare.
So che voglio quella visione lenta larga senza barriere che vede l’aria che fa il giro della terra. Che vede le radici che si intrecciano sotto il sentiero e dietro ai muri. Che vede il mare che contiene trichechi e balene gonfiarsi lento sotto la luna. Che vede la neve sciogliersi e grondare nella terra e salire su per i reticoli della linfa e su per le mani dei rami, e tornare in cielo.
Ma siccome voglio questa visione lenta e larga, e voglio proprio questa e non un’altra, adesso, subito, con la disperazione piccola e stanca di una bambina esasperata, allora la visione non c’è.
Vedo solo neve sporca e asfalto. E me, stanca, che cammino in salita. Cercando di mettere una coperta bianca sopra le cose, visto che il cielo non l’ha fatto bene abbastanza.

Rametti bucano il bianco, qui sopra il muro.
Sono belli, a raggera, verdi, ditini dritti in su fuori dal bianco. Ma so che li sto guardando ancora con gli occhi del giudizio.
Non li vedo davvero.
Li valuto.
Mi piacciono. Non mi piacciono.
Sono belli. Sono brutti.
La mente pesa e misura. Attacca etichette.
Sovrappone, testarda, quel che vuole e quel che non vuole a quel che è.

Posso sentire la mia spinta alla fuga. Oh, la sento, sì. Sono qui ma non ci sono. La mia mente continua il macinio continuo di questi giorni. Fugge in avanti, alla rincorsa del compito. C’è questo da fare. C’è questo da fare.
Fare, fare, fare.
Mostrare, dimostrare.
Alla rincorsa dello scopo. Proiettati verso la meta.

Cammino.
Anche questo mio camminare ha uno scopo. Ha una meta.
Voglio la visione.
E la voglio adesso.
Qui, perché qui è un buon posto per averla, lo so. Ci sono venuta per questo.
Cammino per vedere.
E siccome cammino per vedere, allora non vedo.

C’è una panchina. Tolgo la neve. Mi siedo.
E’ freddo. Ma buono. Sono vestita bene. Sono in un bozzolo caldo.

Sento la mia stanchezza. La mia preoccupazione.
Tutta questa tensione spasmodica in avanti. Tutto questo sforzo di conciliare cose tanto diverse.
All’improvviso ho tenerezza per me.
E’così sciocco volere visione, adesso. E’ già abbastanza se mi accolgo così come sono. Tutta intera, paure, stanchezza, ansia, bisogni. Volere e non volere. Cecità e limiti.
Io. Qui. Adesso.
Sì. E’ già abbastanza.
Sorrido. Respiro.
E sento che lascio andare.

Alzo gli occhi.
Lo vedo.
Oh, sì che lo vedo.
Il platano sta sopra di me.
Rami larghi contro il cielo bianco.
Le foglie marroni che pendono dai rami, tutte orientate in giù secondo la direzione della pioggia. I frutti tondi a pallina, neri, annodati sopra i giunti dei rami. Il tronco vivo, con la corteccia a macchioline grigie e bianche, così liscio, come la pelle di un animale.
L’albero, grande.
Sto lì coi piedi dentro la neve sporca che si scioglie, e lo vedo.
Sorrido.
Sorrido.

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