domenica 27 gennaio 2008

Yossl Rakover si rivolge a Dio.

Credo nel sole, anche quando non splende;
credo nell'amore, anche quando non lo sento,
credo in Dio, anche quando tace.
(Scritta sul muro di una cantina di
Colonia, dove alcuni ebrei si nascosero
per tutta la durata della guerra)
Pubblicato per la prima volta nel 1946 su una rivista in lingua yiddish di Buenos Aires, questo brevissimo testo ha seguito percorsi di diffusione oscuri e sotterranei. Per anni ha viaggiato in silenzio di mano in mano, tradotto dall'yiddish in tedesco, inglese, francese, trasformandosi piano piano in leggenda. "Yossl Rakover si rivolge a Dio" di Zvi Kolitz, edito in Italia da Adelphi, fu a lungo supposto essere il testamento spirituale dell'ebreo Rakover, scritto prima di morire nella battaglia del ghetto di Varsavia del 1943. Solo in seguito fu rivelata la vera identità del suo autore, ebreo lituano tuttora vivente.
Per venti scarne sconvolgenti pagine, Yossl Rakover urla a Dio la sua fede. Nonostante.
"Il sole è ormai al tramonto, e ringrazio Dio che non dovrò rivederlo mai più" dice l'ebreo al Dio che nasconde il volto. "Qualcosa di strano è accaduto in noi: tutti i nostri concetti e i nostri sentimenti sono cambiati. La morte rapida, istantanea ci appare come una salvezza, una liberazione, la rottura delle catene. Le belve della foresta mi sembrano così amabili e care che è per me un profondo dolore sentir paragonare a belve gli scellerati che governano l'Europa. Non è vero che Hiltler ha in sé qualcosa di bestiale, è un tipico figlio dell'umanità moderna. E' stata l'intera umanità a generarlo e crescerlo." (...) Nell'inferno del ghetto in fiamme, con la sola compagnia di un bambino morto con sulle labbra il sorriso di chi "sa che la questione è del tutto irrilevante e priva di significato dinanzi allo splendore con cui si manifesta la gloria divina", Yossl Rakover interroga un Dio "che anche a me deve qualcosa, che mi deve molto", un Dio verso cui "il mio rapporto non è più quello di uno schiavo verso il suo padrone, ma di un discepolo verso il suo maestro. Chino la testa dinanzi alla sua grandezza, ma non bacerò la verga con cui mi percuote." E a questo Dio muto e nascosto chiede "Che cosa ancora, sì, che cosa ancora deve accadere perché tu mostri nuovamente il Tuo volto al mondo?", subito prima di gridargli la sua fede sconsolata: "Se con queste prove pensi di riuscire ad allontanarmi dalla giusta via, Ti avverto, Dio mio e Dio dei miei padri, che non Ti servirà a nulla. Mi puoi offendere, mi puoi colpire, mi puoi togliere ciò che di più prezioso e caro posseggo al mondo, mi puoi torturare a morte, io crederò sempre in te. Sempre Ti amerò, sempre, sfidando la Tua stessa volontà!"
Un testo possente, un terribile canto di amore disperato. Il libro di Giobbe dei nostri giorni.

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