giovedì 17 gennaio 2008

Dei monti e dell'essere. Ovvero Mario Martinelli.



Ieri ho conosciuto un montanaro vero.
Ormai non sono molti quelli rimasti.
So che questa affermazione può suonare assurda. Io abito in mezzo ai monti. Tutto attorno a me, ad altezza variabile, ci sono paesini e villaggi. E qualcuno deve pur abitare in quelle case con le finestre illuminate.
Ma, ovviamente, non è di questo che sto parlando.
Certo che ci abitano. Meno di una volta, e con sempre meno bambini, questo sì. Ma i paesi in quota non sono certo ancora deserti.
No. Quello che voglio dire è che non basta vivere sui monti per essere dei montanari.
Quello che voglio dire è che ormai chi abita sui monti vive più o meno la stessa vita di chi abita in città. Spesso passa il giorno al lavoro in fondovalle, in qualche ufficio o in qualche azienda. Poi la sera rincasa, chiude la porta, e consuma il resto del suo tempo davanti alla tivù.
Sono pochi quelli che vivono di lavori legati alla montagna, a meno che non si tratti di attività connesse col turismo (e anche quelle sempre meno. Col riscaldamento globale la neve è un lusso e una rarità...). e di questi pochi, veramente minimi sono i giovani.
Mario Martinelli è un'eccezione a tutte le regole.
Classe 1962, dopo una vita movimentata e avventurosa che lo ha lasciato malato nel corpo e nell'anima, verso la fine degli anni '90 decide di compiere quello che lui definisce "un giro di vita". E si ritira a vivere a Zendri, in Vallarsa, a mille metri di quota, nella vecchia casa della nonna, in compagnia solo di una quindicina di capre e molti libri.
E qui, nel silenzio dei prati, dell'acqua, dell'aria, delle montagne, piano piano guarisce. E ricomincia a vivere.
E questo suo vivere prende la forma prima di cammino, spesso così erto da farsi pericolosa arrampicata; e poi, ma forse sarebbe meglio dire insieme, di scrittura.
Riempie taccuini e quaderni di pensieri, intuizioni, racconti, annotazioni. E disegni.
E poi, un giorno, un amico decide che tutta quella roba, tutte quelle pagine fitte di vita, vergate in caratteri minuti e regolari, non possono restare nascoste nel baule di nonna Alma. E le porta all'editore Stella di Rovereto.
Ed è così che, nel 2004, incomincia l'avventura letteraria di Martinelli.
E oggi, quattro anni, due editori e otto libri dopo, l'avventura continua. Un successo che piano piano si allarga e si spande, seguendo canali non commerciali, e dal Trentino dilaga con lenta costanza giù per le valli venete.
Gli scritti di Martinelli sono, come è inevitabile che sia, intrisi di montagna. Non c'è praticamente riga che non ci rimandi un paesaggio, un odore, un colore, una sensazione connessa con i suoi monti.
Eppure credo che definirlo scrittore della montagna sia riduttivo. Il vero paesaggio che ci mette davanti è il suo paesaggio interiore. Perché la montagna è per lui il luogo del più profondo contatto con se stesso.
Il suo è un approccio minimalista. All'arrampicata d'assalto di certo alpinismo puntato sui record, Martinelli contrappone un lento camminare fra le vette di casa, conosciute sasso per sasso, albero per albero. E' sempre il medesimo diorama che scorre nelle sue pagine: il Passo Buole, lo Zugna, il Jocolle, il Levante, il Cingelle, il Mezzana. La chiostra di monti che racchiude la Vallarsa. Ossa delle sue ossa.
Ci sono pagine che scorrono come l'acqua nei suoi libri. I miei preferiti sono quelli del ciclo del signor Broz, che amo per la totale sincerità dell'occhio che guarda, per la nudità sapiente del mezzo espressivo, e per un delizioso senso dell'umorismo che li pervade tutti.
E oggi?
Oggi Mario ha accantonato il progetto di metter su una bella stalla di capre con annesso caseificio. E sta realizzando che vendere libri sarà parte integrante del suo paesaggio futuro... a patto che non lo costringa a scendere troppo spesso a fondovalle.

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