giovedì 3 gennaio 2008

"Giustiniano", di Pietro Ugolini

Sono stata fortunata. Una segnalazione da parte di cari amici mi ha fatto scoprire questo prezioso piccolo libro, opera prima di Pietro Ugolini, scrittore bolognese.
Pubblicato nel 2002 da Pendragon, ha avuto la sorte che hanno moltissimi libri dell'editoria indipendente: distribuzione lacunosa e scarsa visibilità su stampa e quotidiani. E, di conseguenza, insufficiente conoscenza da parte del pubblico. Peccato, perché questo testo merita davvero di essere letto.

Ne parlo su Lankelot, ottimo portale di arte e cultura:

Quando Rabbi Bunam stava per morire,

sua moglie piangeva. Egli disse: “Perché

piangi? Tutta la mia vita è stata soltanto

un imparare a morire”.
(Racconto Chassidico)



Scorrono le stagioni. Acqua passa sotto i ponti e foglie cadono germogliano e crescono. La neve copre ogni cosa e poi si scioglie, e poi il caldo sole di agosto martella sui sassi fino a farli roventi. E passa il vento sopra l’erba, caldo, tiepido, freddo, gelido. Frotte di pesci attraversano i fiumi, e poi il ghiaccio li ricopre.
Ogni attimo di vita contiene l’universo intero. Memore eppure immemore del perpetuo tornare del tempo su se stesso.
Nel romanzo di Ugolini ogni cosa ci si dispiega sotto gli occhi come nei quadri dei pittori fiamminghi. E’ un mondo vasto quello che vediamo, che si allarga a distesa in ogni direzione, dalle montagne alla remota profumata lontananza del mare, pieno di oggetti e attrezzi e animali e gente affaccendata, ognuno intento alle sue opere sui declivi dei colli, in minuziosa remota fuga prospettica.
E allo stesso tempo, come negli affreschi del ciclo dei mesi al Castello del Buonconsiglio di Trento, ci accorgiamo che ogni cosa ci sta sotto gli occhi nel suo contemporaneo esistere nel grande fiume del tempo. Ogni fontana, ogni ponte, ogni minuscolo sasso nasconde in sé insondabili profondità che si inabissano a ritroso nel passato e si proiettano in fuga nel futuro. Ogni luogo di questo immenso quadro, anche il più infimo e insignificante, ci disvela in silenzio il vertiginoso abisso del tempo:
Poi continuò ad andare. Ai margini della strada, in quel punto esatto, c’erano delle acacie selvatiche che si muovevano quando si alzava il vento e si bagnavano quando la pioggia cadeva scrosciante o diventavano bianche, quando cadeva la neve. E poi, lontano, c’erano la montagne, le sue montagne, quelle che rimanevano là per sempre.
Perché ce lo dichiara fin dalla prima pagina, Pietro Ugolini. Il Tempo sarà il vero protagonista del suo racconto. Così come Sorella Morte.
“Ogni giorno vivo tutta la mia vita. Ogni giorno qualsiasi” ci dice Giustiniano nelle prime righe del testo. E di lui, vecchio farmacista ebreo e antifascista, sappiamo subito che vedremo la fine. Cronaca di una morte annunciata, potrebbe essere il sottotitolo di questo breve nitido romanzo. Con la differenza che Giustiniano sa bene quello che sta per accadere. Diversamente dal protagonista del romanzo di Marquez, si dirige verso il proprio destino in piena consapevolezza. In totale accettazione.E mentre Giustiniano cammina, con passo lento e vigile, verso la propria fine attraverso il quieto sommesso trionfo dell’epifania del mondo, lo accompagniamo nel suo tragitto, e siamo testimoni del dialogo che intreccia col Tempo e con la Morte...

Se avete voglia di leggere l'articolo per intero, potete trovarlo qui. Ma, credetemi, quel che davvero merita di essere letto è questo piccolo testo non ancora abbastanza conosciuto.

Nessun commento: