domenica 11 maggio 2008
Esce il secondo numero cartaceo di GiornaleSentire
domenica 4 maggio 2008
8 maggio 2008: la collana Declinato al femminile alla Fiera del Libro di Torino
Chi ne avrà voglia ci troverà giovedì 8 maggio alle 16,30 allo Spazio Autori Calligaris A del Lingotto Fiere di Torino.
Saremo felici di far due chiacchiere con voi, e di raccontarvi storia e prospettive di questa collana.
sabato 26 aprile 2008
Qui tendi a vedere le cose dal verso di sotto. Cammini sulla terra soda, e la senti rimandare il passo chiodato di chi ci sta mescolato dentro. Ci sono ancora i vecchi, qui, che si ricordano i racconti della Grande Guerra. Che ti indicano un ciliegio che non si può tagliare, perché il tronco è così irto di schegge di granata, dentro, che spezzerebbe la sega. Che ti fanno vedere il posto dove si sono impiccati due ragazzi, e uno aveva il santino della Madonna appoggiato alle radici dell’albero. Così sfiniti dall’orrore senza soluzione di quella guerra, che la morte, certa e subito, era loro parsa un ristoro. Un sollievo.
Cammini, e ti senti accompagnato. Questa valle, oggi, sotto questo sole che staglia i contorni di ogni singola cosa come se fossero ritagliati con le forbici, e massi e gole e neve e guglie e foglie verdi e trasparenti e rami teneri di larice e crochi e fili d’erba, questa valle è un catino che raccoglie ombre.
E tu, camminando, sai che di questa terra soda che sostiene i tuoi piedi c’è la faccia di sopra e la faccia di sotto.
lunedì 21 aprile 2008
lunedì 7 aprile 2008
Italiani, austriaci.
Un unico impasto di fango, lombrichi, radici, foglie, pallottole, bulbi di crochi, fibbie di zaini, suole di scarpe, nidi di termiti, culatte di bombe, sassi, formiche, escrementi di cervo e ossa ormai disfatte.
Da tanti anni.
Le cartucce sono rimaste. Le ossa si sono sciolte, le cartucce sporgono la corona ossidata dalle spaccature del terreno. Sai che sono state sparate dal colpo che il percussore ha lasciato marchiato sul fondo.
Le raccogli, le spolveri. Te le metti in tasca.
Non sai perché.
Te le metti in tasca.
giovedì 3 aprile 2008
"Yoko Ono sono io", di Loris Zecchini
Libro intrigante, scritto con lo stile sicuro e personale di chi ha grande consuetudine con la lettura, prima ancora che con la scrittura, questo romanzo fa emergere alla luce un autore interessante, che promette di tornare a breve sugli scaffali delle librerie. Uscirà infatti fra qualche mese un suo nuovo libro, "Sayonara da un'ora", questa volta per i tipi dell'editore Giraldi.
Questo ho pensato, chiudendo l’ultima pagina del libro di Loris Zecchini.
Cosa mi resta dietro il velo rosso delle palpebre dopo che l’ultima riga è scorsa via, mi sono chiesta.
Questa sensazione algida di raggelata sospensione. E insieme, questo senso di nitida chiarezza.
Perché questo è, la scrittura di Zecchini. Un raggio laser. Che disegna i contorni di eventi e oggetti con bagliore limpido, nitido, perfetto. Mettendoti davanti, senza scampo, il loro terso, desolante squallore.
Opera prima di un autore schivo e riservato, poco affine ai meccanismi di compravendita che governano il mercato dell’editoria, “Yoko ono sono io” ci mette all’occhio il foro del caleidoscopio. Ci mostra la girandola di allucinazioni pensieri emozioni odii rancori dolori lacerazioni abbandoni che roteano luccicanti come scaglie dentro il corpo di Mia e Nadir, fratelli ricongiunti dalla morte della madre. E lascia che siamo noi a cercare di condurre un filo, per dir così, logico, che leghi gli atti che si svolgono sotto i nostri occhi.
Niente ci viene raccontato. I fatti ci si parano davanti attraverso il filtro ora degli occhi dell’una, ora dell’altro. E piano piano impariamo a riconoscere il timbro della voce interiore di ciascuno dei due fratelli, più nitido e lucente quello di Mia, più lutulento e avviluppato quello di Nadir.Quel che ci si mostra, in realtà, è l’agglutinarsi progressivo che subisce il loro destino. “Certe cose del passato ti restano dentro come un drago.” Intrappolati in una gabbia fatta di tempo andato, ricordi e rancori, i due fratelli sembrano prodursi nella dimostrazione pratica di un processo di entropia. Mano a mano che procedono le ore, e che si accresce l’ampiezza del moto oscillatorio percorso dalle emozioni, parallelamente aumenta il caos e la disarticolazione degli spostamenti che i due compiono nello spazio, fino a giungere a un vagolare totalmente infantile e impotente...
lunedì 31 marzo 2008
E ora, dopo la pioggia, l'erica se ne sta lì ruvida e erta, punte di spillo confitte per terra, matassa viva che sbuca fuori dalla cotica gialla dell'erba.
Strano contrasto questo. Floscio sbiadito pelo bruno di pelliccia invernale contro il rosa rubescente di questo cuscino fiorito.
Fresco tripudio selvatico. Mite. Vivente.
domenica 30 marzo 2008
Hammam della Rosa: le Declinate a Milano
Serata speciale per le autrici di Declinato al Femminile, venerdì sera. Ospiti dell'Hammam della Rosa a Milano, abbiamo chiacchierato, raccontato, riso e sudato insieme ai nostri ospiti condividendo profumi di olii essenziali e umidità da foresta pluviale amazzonica. Insieme alla direttrice della collana, Francesca Mazzucato, faceva gli onori di casa Luciana Viarengo, caporedattrice della rivista letteraria PaginaUno.
Troverete un racconto della serata su BaleneBianche, e altre foto sul nuovo openblog/webmagazine Declinato al Femminile.
domenica 23 marzo 2008
domenica 24 febbraio 2008
Di fronte a Cézanne. Note libere a margine di una mostra.
E' vero. Con la "Casa dell'impiccato" improvvisamente qualcosa cambia.
Tocca le cose per la prima volta. Improvvisamente il corpo delle cose c'è. Prima non c'era e poi all'improvviso c'è.La fatica. I piccoli progressi tecnici. I quadri in cui le cose non sono state toccate. Imperfetti, abortiti. Falliti.
E poi all'improvviso la rivelazione.
All'improvviso, tutta insieme, tutta insieme.
Sono molto stanca. Ho fatto tutto nel modo più faticoso. Forse era l'unico modo per farlo. L'unico modo per farlo in modo che servisse a qualcosa, intendo. Per poter mangiare, respirare Cézanne dovevo essere sola. Tutta sola in mezzo a questa selva di gambe e braccia e toraci, sola in mezzo a questa foresta di busti e teste che passano piano davanti ai quadri e li coprono e li svelano e parlano sottovoce lingue sconosciute e straniere.
Sola.
Sola per poter piangere senza dover spiegare niente.
Per poter toccare i quadri con le labbra le dita gli occhi la pelle la carne. Carne della mia carne ossa sangue e respiro inalato fino in fondo al torace.
Grazie perché tutto questo è stato fatto. Grazie perché c'è. C'è.
Cantare come un uccello questo canto immenso.
Cantare come lui ha dipinto. Mio dio.
La sua Madame Cézanne con la veste sontuosa che illumina il viso di bagliori verdi e azzurri. Il colore prezioso che cova sullo sfondo. Un oro denso e cupo. Fluido e pastoso. L'incarnato del viso soffuso di giallo. Prezioso. Denso. Racchiuso. Raccolto.
Il pennello che vaga sulla tela in modo cangiante. Sai che cambia ma non ne vedi il punto di rottura. Solo modula da una tonalità all'altra come la coda di un pavone.
Il viso lontano e eterno. Gli occhi antichi. Composti e fondi, eppure lontani come di chi sa senza dire. Senza bisogno di sapere.
Il verde e l'azzurro. Ci sono quadri in cui ci sono, ma non sono liberi. Sono velati, come trattenuti da una patina scura, frenati, nascosti.
Nascosti da uno schermo affumicato.
E poi all'improvviso alzi gli occhi e ti invadono.
Un sommergente straziante urlo azzurro ti ferisce al cuore.
E all'improvviso in un piccolo quadro c'è tutto.
Il ritratto di Choquet. Quel vagare compatto e modulato del pennello. Che cattura la luce, e la incarna, la stampa nelle cose. Nella carne delle cose. Materia fluida che modula da un colore all'altro. Che infinitamente si trasforma e resta sempre la stessa materia. Densa. Fonda. Fluida.
Lui prega mentre dipinge.
Dipingere è la sua preghiera. Il suo canto di uccello.
Questo so.
In questi quadri il verde e l'azzurro e il giallo denso e i rossi corposi cantano con voce acutissima, tanto acuta da essere a stento sopportabile. C'è bisogno di abbassare gli occhi e poi alzarli piano, e distogliere lo sguardo molte volte, per non restare abbagliati.
Per questo il primo giorno ho potuto solo piangere. Io non mi aspettavo tutto questo. E' stato troppo, tutto insieme. E sono rimasta abbagliata.
Sapevo di dover tornare. Sapevo che una volta non era abbastanza.
Dovevo tornare con la vista più salda e sicura, con fermezza. Sapendo.
Tornare a imparare.
Io so che valeva tutta questa fatica. Oh sì.
Oh sì.
Sì.
Lui sente il respiro nelle fronde. Il respiro fondo e vagante fra le foglie e nell'acqua densa e fluida che riflette e dà corpo.
L'acqua. L'acqua sembra avere una profondità che svela le cose. ne rivela la densità, ne esalta la corposità. Ciò che si riflette nell'acqua è più denso di ciò che viene riflesso.
La scura ombra sotto le fronde verdi. E' un'ombra che contiene tutta la luce del giorno, la cova e la trattiene nel cavo luminoso e buio del ventre della terra. E' un buio intriso di luce. Ombra fonda e luminosa.
E nonostante l'abbagliante chiarezza di questi quadri, sai che contengono una nota oscura, un punto di nero che si mescola ad ogni cosa. Qualcosa che alla lunga respinge lo sguardo, che non si fa penetrare. Compattezza impenetrabile.
Le cose. La loro pienezza. La loro presenza. La loro impenetrabile ostile violenta assenza di moto. Assenza di vita.
Presenza. Presenza.
Presenza.
Essenza.
Esasperante presenza.
E basta.
Il vaso blu.
Il grigio che non è mai grigio. E' un insieme vibrante di colori primari spezzati che tremano silenziosi dietro le cose.
Il vaso blu.
E poi alla fine la luce si fa più chiara e il velo sparisce. Vibrare di luce. Musica.
Chiara musica luminosa.
Donna con la caffettiera.
Presenza.
Pura densa quieta presenza.
E alla fine eccole, le bagnanti. Dopo tutta una vita di tentativi eccole.
Verde e blu vibranti e saettanti. E il rosa blu delle pelli che assomigliano all'acqua e all'erba.
Assomigliare.
Finalmente le ha fatte assomigliare.
La sua grande preghiera.
La sua grande cattedrale di rami e cielo e luce vibrante e acqua e pelle nuda e senza niente altro.
La sua grande cattedrale di luce.
Era indispensabile viaggiare totalmente soli.
Essere disancorati da ogni pensiero, privi di fascino a cui aggrapparsi, privi di coperture e difese.
Solo così si poteva vedere.
Ora lo so.
Ora so perché.